Bloc-notes |
Un saluto
ai colleghi nel lasciare la scuola: |
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Carmelo Cordiani
Finito un gioco, vincitori e perdenti hanno solo voglia di riposarsi e di riflettere. Come spesso accade, la vittoria è di squadra. A perdere è uno solo.
La riflessione è uno sguardo indietro. Piano piano riemergono i frammenti dell’intero percorso di vita. Si stenta a rimetterli insieme, a dare figura, sembrano pezzetti su cui abbiamo scritto esperienze che non ci interessano più, perché passate, lontane. Poi si riaccostano i tasselli, con un piacere che ti fa ritornare al momento esatto in cui li hai costruiti, ti riconosci in essi, sei tu, lo stesso di quando hai iniziato. Dopo oltre quarant’anni sei in grado di riconoscerti tra entusiasmi, acciacchi, delusioni, amarezze, ideali appena sfiorati e già sfumati. C’è anche il rischio di perderti, di sentirti inutile. Di domandarti: “ Ma cosa ho fatto?” e di non trovare una risposta che ti rimetta in piedi e ti lasci tranquillo. E si, perché andarsene a casa senza sentirsi tranquillo è pesante.
Finché sei in servizio, hai sempre la possibilità di rimediare, di correggerti, di proporti comportamenti accettabili, di dare fiducia. Poi sei solo un intruso. Gli altri guardano avanti, ricordano o dimenticano a seconda di cosa sei stato. Puoi lasciare un vuoto oppure un respiro di sollievo per chi resta. Puoi essere ricordato o dimenticato in fretta. Non contano le cose che hai realizzato, ma come tu sei stato presente negli altri e gli altri presenti in te. Contano le relazioni umane costruite e mantenute anche nelle situazioni difficili, quando occorre mettere da parte le proprie vedute per guardare con gli occhi degli altri. Nella vita di relazione, gli altri contano più di te. Sono gli altri che giustificano la tua posizione. Sono gli altri il motivo del tuo operare. E gli altri, nella scuola, sono i colleghi, gli alunni, le famiglie. Un insieme di persone, di intelligenze, di modi di essere, ma anche di aspettative, di fiducia. Tante persone che ti guardano e ti giudicano. Un intreccio continuo che pone interrogativi e ti richiama l’impegno. E ritorna la domanda: “Cosa ho fatto?”
Cari colleghi, amici,
collaboratori. Ho fatto riferimento alle riflessioni a gioco chiuso. E
temo il vostro giudizio sul mio ruolo nel gioco. Sta a voi la risposta
alla domanda che mi sono posta e che continuerò a pormi. “Mi rimetto
alla clemenza della Corte” dicono gli imputati in attesa della
sentenza. Siate benevoli, più di quanto sono stato io con voi. Si può
vivere indifferenti. Si può camminare accanto ad altri senza
accorgersi, badando ai propri passi. Si può vivere partecipando. A
volte, partecipare è impicciarsi, occupare più spazi. E si dà
fastidio. Se mi è capitato, credetemi, è perché mantengo ancora viva
la fede nella scuola. Dobbiamo continuare a credere, nonostante il
clima di discredito che avvolge la scuola. Noi siamo la scuola, non
chi manipola questo meraviglioso giocattolo con dichiarata volontà di
cambiarlo. Noi che trattiamo i soggetti della scuola, i bambini che
vogliono crescere persone con noi, come noi che apriamo i loro occhi
ai valori della vita. Continuate con entusiasmo, con caparbietà,
uniti, mettendo insieme intelligenze ed energie, tenendo lontane dalle
vostre aule le piccolezze che tentano di affacciarsi, vivendo lo
spirito di famiglia che vi gratifica e vi dà forza. Un particolare
riguardo alla Nuova Maestra che abbiamo accolto nella nostra famiglia.
Ascoltiamo il suo messaggio e diffondiamolo. E, se volete, lasciate in
questa famiglia un piccolo spazio dove anche io possa continuare a
sentirmi uno di voi. Grazie. |
«Un saluto ai colleghi nel lasciare la scuola: L'educazione è una comunicazione di sé, cioè del proprio modo di rapportarsi con il reale. Finito un gioco, vincitori e perdenti hanno solo voglia di riposarsi e di riflettere. Come spesso accade, la vittoria è di squadra. A perdere è uno solo. La riflessione è uno sguardo indietro. Piano piano riemergono i frammenti dell’intero percorso di vita. Si stenta a rimetterli insieme, a dare figura, sembrano pezzetti su cui abbiamo scritto esperienze che non ci interessano più, perché passate, lontane. Poi si riaccostano i tasselli, con un piacere che ti fa ritornare al momento esatto in cui li hai costruiti, ti riconosci in essi, sei tu, lo stesso di quando hai iniziato. Dopo oltre quarant’anni sei in grado di riconoscerti tra entusiasmi, acciacchi, delusioni, amarezze, ideali appena sfiorati e già sfumati. C’è anche il rischio di perderti, di sentirti inutile. Di domandarti: “ Ma cosa ho fatto?” e di non trovare una risposta che ti rimetta in piedi e ti lasci tranquillo. E si, perché andarsene a casa senza sentirsi tranquillo è pesante.», di Carmelo Cordiani, Dirigente Scolastico Istituto Comprensivo di Giffone, 27 Giugno 2004 |
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