Bloc-notes

Ora esistono tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità

 

MAIOR EST CARITAS

Gesù ha amato tutti incondizionatamente, senza riserve, l’uomo peccatore, l’uomo fragile, l’uomo indifeso, il povero, il sofferente. E' Cristo a muovere il primo passo

 

 

di Carmelo Cordiani

         Nella lettera ai corinzi (1, 13 e ssgg) Paolo scrive una sua riflessione sulla carità che è stata definita un “inno” all’amore. Lo stesso Benedetto sedicesimo, qualche domenica fa, riferendosi al brano di Paolo riportato nella liturgia della parola di quel giorno, ha sottolineato l’attribuzione di “inno”, cioè di elogio sublime, canto appassionato per il “comandamento nuovo” di Gesù. Paolo  afferma che chi possiede la conoscenza delle lingue degli uomini e degli Angeli, il dono della profezia, una fede tanto forte da trasportare le montagne, ma non ha la carità è un “niente” (Nihil sum!). Poi passa ad elencare le qualità della carità: Paziente, benigna, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. E, inoltre, la carità tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. Concludendo questo inno stupendo afferma: “ora esistono tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità (maior est caritas)

 

         L’evangelista Giovanni, nella prima lettera (Gv. 1,8) dichiarando che la carità ama il fratello, conosce Dio, vince il mondo, rafforza la fiducia, ci presenta Dio con una definizione unica: Dio è amore; ed utilizza il termine “agape”.

 

         Nel libro dell’Esodo (3,14 ) Dio si manifesta  a Mosè affermando: “Io sono colui che sono. E aggiunge : Così dirai ai figli di Israele: Io-sono mi ha inviato da voi”. Accostando l’affermazione di Dio alla definizione di Giovanni possiamo dire che l’essenza (Io sono colui che SONO) di Dio è amore (Dio è AMORE).

 

         Nel testo greco curato da Merk s.j.(1) non figura la parola “caritas” bensì “agàpe”. Si tratta di un significato particolare, tipico del linguaggio di Gesù . Una comprova si può trovare nel breve dialogo tra Gesù e Pietro, riportato da Giovanni (Gv. 21,15 e seg.). Pietro, Tommaso ed altri discepoli avevano trascorso la notte in mare senza pescare nemmeno un pesce. All’alba Gesù, già risorto, si presenta sulla riva, ma nessuno lo conosce. Chiede qualcosa da mangiare. Le ceste sono vuote. Allora invita Pietro a gettare la rete da un’altra parte. A questo punto qualcuno che Gesù amava ( on egàpa), lo stesso Giovanni, si rivolge a Pietro e gli dice: “Pietro, è il Signore”. La pesca è stata generosa, Gesù si avvicina, prende il pane ed i pesci e li offre ai discepoli. Poi, rivolto a Pietro, per ben tre volte gli chiede: “Simone di Giovanni, mi ami più di questi?” E Pietro, per tre volte risponde: “Tu sai che ti amo”. Ma Gesù per due volte usa un verbo “agapào” ( agapàs me); Pietro risponde con altro verbo: “filèo”( filò se). Alla terza domanda Gesù ricorre al verbo filèo, quasi per dimostrare di aver capito lo stato d’animo di Pietro. Era troppo pesante il ricordo di aver rinnegato il suo Maestro e non se la sentiva di rispondere con lo stesso linguaggio di Gesù. Il suo, in quel momento, era un amore umano, fragile, emotivo; quello di Gesù è l’amore incondizionato, donazione completa di sé, senza pretese di ricompense. E’ l’amore cristiano, il nuovo amore che Gesù ha insegnato e testimoniato e che Paolo, nel suo inno, esplicita in ogni dettaglio. Chi ama è paziente,  è generoso, non si vanta, non è orgoglioso, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. Quando Gesù consegna il suo nuovo comandamento raccomanda di amarsi come lui ha amato. Ha amato tutti incondizionatamente, senza riserve, sacrificandosi in nome dell’amore per l’uomo. L’uomo peccatore, l’uomo fragile, l’uomo indifeso, il povero, il sofferente. L’amore di Gesù ha uno spazio sconfinato e dovrebbe essere il vero movente delle relazioni interpersonali. Paolo afferma che è l’amore di Cristo a spingerlo; non l’amore per Cristo, ma quello che Gesù ha portato tra noi, cioè l’amore per il prossimo che egli stesso ha insegnato a chiamare fratello.

 

         Purtroppo la vera perla del Vangelo, la buona novella, spesso rimane sterile. Predomina l’amore umano, quello che dà per ricevere, un calcolo di convenienza carico di menzogne.  Una filantropia superficiale che viene meno quando non conviene più. Accade tra “amici” quando il tornaconto travolge ogni sentimento. Accade tra coniugi, quando si esaurisce la “passione” che altro non è se non il gradino più basso della scelta di stare insieme. Accade tra genitori e figli, quando le incomprensioni o gli interessi prendono il sopravvento. Allora i figli scelgono di andare via, o i genitori si separano, distruggendo quel meraviglioso progetto che chiamiamo famiglia. Il dopo è sotto gli occhi. Devianze, depressioni, sballi, esperienze estreme…Un calderone di delusioni e di amarezze!

 

         “Signore, da chi andremo?”, dicevano i discepoli a Gesù. Poi il riconoscimento: “Tu solo hai parole di vita…” La sua parola è unica e semplice: “Amatevi come io vi ho amato”.

 

(1)     Novum Testamentum Graece et Latine

Augustinus Merk S.J – XI edizione – ed. Pontificio Istituto Biblico

 

 

Cordiani Carmelo - Bloc-notes: «Ora esistono tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità. MAIOR EST CARITAS. Gesù ha amato tutti incondizionatamente, senza riserve, l’uomo peccatore, l’uomo fragile, l’uomo indifeso, il povero, il sofferente. E' Cristo a muovere il primo passo», Galatro (RC),  10 marzo 2010

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