Bloc-notes |
FRAMMENTI
Andare ad insegnare con l'amico Rocco, gustare la fatica della strada, guardare gli alunni arrivare come formichine, contemplare i primi scarabocchi, osservare i primi semini germogliare, vedere come dalle tue mani rinasce un bambino, constare che qualcosa di te rimane nel bambino: è una meraviglia. Oggi questi alunni, diventati papà, dicono con orgoglio ai loro figli: “Questo è stato il mio maestro”
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di Carmelo Cordiani
Un’ora buona per arrivarci. A piedi, si intende, perché, da precari non si poteva nemmeno pensare di comprarsi una macchina, anche se eravamo nei primi anni sessanta quando si parlava già di boom economico. Per noi solo la speranza di chiudere l’anno scolastico percorrendo ogni mattina il lungo tratto che da Galatro conduceva alle pluriclassi di Castellace (1), contrada Lamari (2). Una vera faticaccia, tutta in salita, sul viottolo che, passato il cimitero, si inerpicava appena lasciato il greto del torrente Riosecco (3). Che tanto secco non era, specie in pieno inverno. Allora ci si muoveva piano sulle pietre sporgenti, sistemate lì per far passare.
Si doveva partire alle sette. Certe mattine due fischi non bastavano per il collega Rocco. La sua cara mamma Raffaela lo sollecitava, ma lui se la prendeva con comodo, senza dimenticare il mezzo filone con provola che consumava tranquillamente arrivati alle Croci (4): un punto di riferimento a metà strada, con una fontanina ed una grossa pietra da sedile. Da lì lo sguardo scendeva a valle e spaziava tra le montagne dell’Aspromonte messe a corona, coperte di faggeta. A dieci metri dalla fontanina, la chiesetta delle Croci, con il sentiero che si perdeva verso il Fego per proseguire fino a Stelletanone (5) e, poi, Laureana di Borrello. Una sosta breve, per non arrivare in ritardo a scuola e, soprattutto, per la paura di trovarci già il direttore che poteva raggiungere le due aule a pian terreno arrivando in macchina dalla statale Laureana-Prateria (6) e percorre solo un breve tratto a piedi, quasi tutto pianeggiante.
Si riprendeva con un po’ di lena. Forse ci aspettava la “massara” con la ricotta pronta. Ci si accorgeva subito. Affacciata alla finestra, guardava verso la siepe che costeggiava l’ultimo tratto ed entrava dritta sotto i pini ad ombrello sulla pluriclasse. Che fragranza: ancora fumante, bianca, soffice come fiocchi di neve appena caduti. Non c’era molto tempo. Gli alunni arrivavano come formichine dalle masserie sparse: quelli di prima e seconda con il libro, due quaderni e la matita. Gli altri avevano anche il sussidiario: gli unici strumenti di lavoro. Al resto provvedevano i maestri, sul grande libro di classe: la lavagna. Quanti ricordi! Quanta emozione ripensando ai primi scarabocchi che, dopo un paio di mesi, i piccoli riuscivano a mettere insieme! Scarabocchi che diventavano parole complete, poi frasi, poi semplici periodi. Ti accorgevi che i semini posti a dimora cominciavano a germogliare, a crescere, a diventare strumenti di comunicazione, lingua scritta. Era come se dalle tue mani, dalle tue parole, veniva fuori un bambino diverso, lo sentivi più spontaneo, con le sue domande meravigliose, più partecipativo. E ti accorgevi che in quel bambino rimaneva qualcosa di te. Oggi, diventati papà, ti salutano con lo stesso legame di allora. Li hai perso di vista per tanto tempo e avresti voglia di leggere nei loro occhi la loro storia, iniziata con te sui banchi logori della pluriclasse di Castellace e proseguita chissà dove.
Mi viene voglia di chiamarli tutti, uno per uno, per rimettere insieme i tanti tasselli che abbiamo montato con fatica, ma con tanto entusiasmo, per fare ancora quattro chiacchiere. Qualcuno ricorda le difficoltà dei primi giorni, quando si ostinava a leggere “tascapani” sotto il disegno dello zaino, cerase per le ciliegie, un “bambino che si sdinnanca” sotto la vignetta di un piccolo che cadeva con gli sci divaricati... Oggi si ride insieme, ma da quelle ingenuità nascevano e si formavano i papà di oggi che, con un pizzico di orgoglio, dicono ai loro figli: “Questo è stato il mio maestro”.
Cosa dire? C’è mezzo secolo di distanza tra i frammenti e la complessità di oggi. Allora i bambini non si ammalavano di scoliosi per gli zaini zeppi di…Boh? Oggi, con tanta roba, tanti sussidi, PC, telefonini, penne, quadernoni, sbiancanti, pennarelli…Ma il maestro dov’è? Cosa ricorderà tra cinquant’anni? Dirà a qualcuno che la mattina partiva alle sette, che andava a piedi, che impiegava un’ora per raggiungere la scuola di Castellane, salendo lungo il sentiero dello Spagnolo (7), che si fermava a metà strada in contrada Croci per consumare mezzo sfilatino con provola e che, prima di entrare in classe, ogni tanto, assaporava la ricotta calda, soffice, bianchissima della massara? Forse parlerà dei tanti progetti messi in atto per lasciare le cose peggio di prima, dei convegni sulla legalità, sulla droga, sull’ecosistema, sulla solidarietà, per riconoscere, con amarezza, che la società è piena di imbroglioni, di giovani sballati, di spazzatura e di egoisti. Povera scuola!
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(1) Castellace di Galatro: Contrada sulla zona collinare, circa 500 mt. All’epoca dei frammenti era abbastanza popolata, nonostante le poche case sparse intorno alla scuola (2) Lamari: Proprietario dell’edificio adibito a scuola nonché della terra coltivata dalla famiglia della “massara” (3) Riosecco: Torrente, pericoloso in caso di forti piogge (4) Croci : Località caratterizzata da una chiesetta (5) Stelletanone: Frazione di Laureana di Borrello (6) Prateria: Altopiano anche del Comune di Galatro (7) Spagnolo: Mulattiera che dal greto del torrente Riosecco sale verso l’altopiano
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Cordiani Carmelo - Bloc-notes: «FRAMMENTI. Andare ad insegnare con l'amico Rocco, gustare la fatica della strada, guardare gli alunni arrivare come formichine, contemplare i primi scarabocchi, osservare i primi semini germogliare, vedere come dalle tue mani rinasce un bambino, constare che qualcosa di te rimane nel bambino: è una meraviglia. Oggi questi alunni, diventati papà, dicono con orgoglio ai loro figli: “Questo è stato il mio maestro” », Galatro (RC), 20 Giugno 2010 |
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