Bloc-notes

"NIENTE REQUIEM AETERNAM, SAN NICOLA!"

 

 

di Carmelo Cordiani

 Un tempo il rito funebre, in chiesa, si celebrava rigorosamente in latino accompagnato da canti gregoriani. Tra questi (Libera me Domine…Dies irae…) uno, in particolare: Requiem aeternam dona ei Domine et lux perpetua luceat ei. Le vocali ripetute, tipiche del canto gregoriano, davano il senso dell’immortalità, della vita che non finiva in quel modo, dentro una bara chiusa ai piedi dell’altare. Le melodie si snodavano in tono moderatamente minore per esprimere la tristezza e la speranza, l’atteggiamento umano e l’impulso della fede che, nel Vangelo, si proclama con quattro parole: “Vita mutatur, non tollitur”.

 

A partire dagli anni sessanta, da quando nella scuola, ad esempio, si creò quell’ibrido di scuola media che buttò fuori dal curricolo il latino (lingua dei preti e di sagrestia, si diceva) e nella società tutto diventò lecito (nascite fuori dal matrimonio, minigonne, divorzio, aborto terapeutico…) si fecero passi da gigante verso il “relativismo”, anche nella liturgia. Il latino non divenne più lingua dei preti ( anche perché, non avendolo studiato nelle sue radici non lo capivano!), in chiesa entrarono le allegre chitarre, nacquero i “movimenti” che, come caratteristica, si muovevano, si contorcevano, si abbracciavano, ballavano in nome e per conto di Jesus Christ super star. D’altra parte Paolo di Tarsio, se ben ricordo,  aveva detto che fede è “substantia creatarum rerum et subsistentia non parventium” ; nelle non “parventi”, cioè quelle che non si vedono e che ognuno si porta dentro, c’è di tutto, ma nessuno può capire cosa c’è.

 

Proprio il primo maggio scorso, festa dei lavoratori, approfittando del fatto che in piazza non si sbraitava alcun comizio per celebrare i martiri di Chicago o le vittime di Portella della ginestra, né si sfilava per le strade al canto di “avanti popolo” ( ma dove deve andare più questo popolo?) entrai silenziosamente in chiesa, come al solito deserta, e mi sedetti al solito banco dell’altare del Santo Patrono San Nicola. Mi ero già genuflesso passando davanti al tabernacolo e, mentre cercavo di dire a Gesù come poteva sopportare certe cose mi ha anticipato dicendomi: “ Me ne avete fatto passare di peggio”. Non aggiunsi altro perché San Nicola tuonò:

 

“Potevi risparmiarti quella domanda a Gesù. Cosa pretendi che si comportasse come ha riferito Marco nel capitolo 11, 15 e sgg. quando ha scacciato i profanatori del tempio dicendo: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti”. I gran sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di farlo perire. Capito?”

 

“Sempre loro!”

 

“Loro chi?”

 

“I gran sacerdoti e gli scribi. Hai saputo cosa è successo a Bergamo in occasione dei funerali del povero Piermario Morosini? Al posto della messa da requiem il gran sacerdote ha permesso che si eseguisse un canto di Ligabue.”

 

“E beh? Cosa c’è di strano?”

 

“Ma tu conosci quel canto o vuoi che te lo canticchi io?”

 

“So che non sei molto intonato; ma se te la senti…”

 

“Mi autorizzi?”

 

“Certo.”

 

“Sicuro”?”

 

“Ma cos’è tutto questo mistero! Sbrigati”.

 

“Allora inizio. “Quando questa merda intorno, sempre merda resterà, riconoscerai l’odore, perché questa è la realtà”. Contento?”

 

San Nicola abbassò la testa e rimase muto.

 

“Non te l’aspettavi, vero? Ma mi hai autorizzato.”

 

“Se ti dicessi che Gesù è stato schiaffeggiato, sputato, percosso ed è rimasto in silenzio, probabilmente si è girato da un’altra parte mentre si schitarravano quelle parole. I canti liturgici, una volta, accompagnavano le cerimonie, anche quelle funebri, e riempivano il cuore. Qualcuno ha definito “nenie” i canti gregoriani. Siamo alle solite. Quando non si vive la religiosità, quando non si è presi dalla solennità dell’azione liturgica e si confonde il luogo sacro con un palcoscenico, tutto diventa scena. Mi rendo conto anche io che tanti strimpellano e, non sapendo fare altro, si esibiscono in chiesa con tre o quattro accordi con i quali accompagnano la qualunque. E guai se dici qualcosa! Rischi di perderli. Spariscono e non si fanno più vedere. Gesù cerca di risparmiarsi la ricerca della pecorella smarrita. Preferisce non perderla. E sopporta anche il cattivo odore. D’altra parte, più puzzolenti dei lebbrosi che ha guarito non penso che si possa trovare altro”.

 

“Scusami, San Nicola! Ma ho l’impressione che anche tu stia diventando un po’ relativista. O mi sbaglio?”

 

“Vedi, all’inizio hai osservato che la chiesa è deserta come al solito. Che facciamo? La chiudiamo? Prima o poi la gente si renderà conto che tornando indietro si fa progresso e che la serietà e solennità dei canti liturgici vale più di un esercito di Ligabue”.

 

Mentre San Nicola si era lasciato andare in questa sua personale valutazione è entrata la vecchina che, facendosi il segno della croce, si è seduta accanto a me. Sottovoce e accostando la mano destra alla bocca, forse perché San Nicola non decifrasse il labiale, mi disse: “Entrando ho sentito qualcosa.” “Forse un odore?” le chiesi? “No, solo delle parole. Forse c’è il sacrestano che parla in sacrestia?” “Non lo so” tagliai corto. “Meno male che non ha sentito altro”, mi dissi. Alzando gli occhi verso San Nicola per salutarlo ho sentito che diceva anche Lui sottovoce: “L’odore dell’incenso, in chiesa, copre tutto, anche quello che emana dalla canzone di Ligabue”.

 

 

 

Cordiani Carmelo: «"NIENTE REQUIEM AETERNAM, SAN NICOLA!".  Un tempo il rito funebre, in chiesa, si celebrava rigorosamente in latino accompagnato da canti gregoriani. Le melodie si snodavano in tono moderatamente minore per esprimere la tristezza e la speranza, l’atteggiamento umano e l’impulso della fede che, nel Vangelo, si proclama con quattro parole: “Vita mutatur, non tollitur”. A Bergamo in occasione dei funerali del povero Piermario Morosini, al posto della messa da requiem il gran sacerdote ha permesso che si eseguisse un canto di Ligabue: “Quando questa merda intorno, sempre merda resterà, riconoscerai l’odore, perché questa è la realtà”», Galatro (RC), Giovedì 3 Maggio 2012

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