Coloro che presumono di essere buoni e disprezzano gli altri La parabola del fariseo e del pubblicano, cioè di coloro che presumono di essere giusti e disprezzano gli altri". Il fariseo tutto centrato sull'Io dimentico del "Tu" perché non ha più bisogno di Dio. Qual è la possibile cura?
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di Vincenzo La Gamba
Questa
è la parabola dei buoni e dei cattivi. O meglio questa é una
parabola per coloro che presumono di essere buoni e disprezzano gli
altri. Ma sopratutto questa è una parabola che succede nella nostra
vita quotidiana. Ci suona alle orecchie come qualcosa che
sperimentiamo spesso e volentieri. Non é vero?
È la parabola del fariseo e del pubblicano,
cioè di chi intende di essere più gradito a Dio. Raccontandola Gesù
pensava ad "alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano
gli altri".
Utile questa domanda: "Che male ha fatto il
fariseo?". Il fariseo é un tipo angosciato come tutti i
fondamentalisti. Vede solo degrado e rovina. Dal suo sguardo duro
nasce la sua preghiera insensata: "O Dio ti ringrazio”. Ma poi non
si interessa più di Dio.
Usa l'io come per dire: “Io sono, io digiuno,
io pago”. Ha dimenticato la parola più importante: "Tu", perché non
ha più bisogno di Dio: non a Dio parla, ma solo a se stesso.
La cosa peggiore è che "disprezza gli altri",
non come lui, specialmente il pubblicano che è al suo fianco,
perché, a differenza di lui, é peccatore, ladro, ingiusto ed
adultero. Vi è mai capitato di comportarvi da fariseo? Al giorno
d'oggi sembriamo di essere tutti farisei quando giudichiamo i nostri
nemici per disprezzarli di quello che fanno di diverso da ciò che
noi siamo abituati a fare.
Perché, vedete, il pubblicano (esattore di
imposte a quei tempi) nella sua preghiera a Dio comincia nel
riconoscersi "peccatore" davanti a Dio. Mette al centro della
preghiera non se stesso, ma la pietà di Dio; non l' io, ma il “TU”.
Come nella preghiera di Gesù, dove mai si dice
“mio”, ma sempre “tuo” e “nostro”: "Padre, tu sei nei cieli, il nome
tuo, il regno tuo, tu donaci, tu liberaci" e così di seguito. Il
vero credente è un peccatore, che si pente dei propri peccati perché
Dio desidera che "chi si umilia sarà esaltato; chi si esalta sarà
umiliato".
Sarà perché a me piace il Salmo 51 più degli
altri salmi, ma esso dice: “Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,
un cuore affranto ed umiliato, tu, o Dio, non disprezzi” (Sal
51,19). Sarà pure che chi si pente dei suoi peccati, non solo deve
avere rimorso, ma conquista la sua credibilità agli occhi di Dio.
Per cui se agissimo da pubblicani saremmo ben
giustificati da Dio, perché troviamo grazia di fronte a Lui. Esserlo
significa comunque guadagnare il cuore di Dio misericordioso. Il
fariseo non "passa l' esame" perché, a differenza del pubblicano, ha
un atteggiamento da "mercenario" nei confronti di Dio.
È importante ricordare che Gesù narrò questa
odierna parabola per quelli che si ritenevano giusti, si sentivano
sicuri di loro stessi e allo stesso tempo "disprezzavano gli altri"
non a loro simili.
L' unica cura possibile è chiedere a Dio la
luce per vederci come siamo, riconoscerci peccatori e ripetere sino
all'infinito: "Signore, sono io che non sono degno della Tua
misericordia; abbi pietà di me". |
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La Gamba Vincenzo - Meditazioni: «Coloro che presumono di essere buoni e disprezzano gli altri. La parabola del fariseo e del pubblicano, cioè di coloro che presumono di essere giusti e disprezzano gli altri". Il fariseo tutto centrato sull'Io dimentico del "Tu" perché non ha più bisogno di Dio. Qual è la possibile cura?», New York, www.galatro.org, Domenica 24 Ottobre 2010, XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) |
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